REDEMPTION SONG di Cristina Mantis

REDEMPTION SONG, il nuovo documentario di Cristina Mantis, è il sogno di redenzione che Cissoko, il protagonista africano, invoca per la sua gente e la sua terra.
Giunto in Italia dalla guerra in Libia, rendendosi conto delle forme di schiavitù che spesso sperimentano in Europa i suoi fratelli immigrati, Cissoko decide di filmarle e di tornare in Africa, a proiettarle nelle scuole e nei villaggi, per contribuire al risveglio della sua gente. Se da un lato c’è l’urgenza “di contribuire ad arrestare l’emorragia umana che dissangua l’Africa”, dall’altro il suo vuole essere un invito alla cessazione dei conflitti interni africani e all’affrancamento della propria terra, adoperandosi tutti insieme per farla crescere, senza consegnarla a sempre nuovi colonizzatori o  abbandonarla per la chimera dell'occidente.
 
E’ questo stesso sentire che del resto lo spinge in Brasile ad omaggiare i discendenti degli schiavi che, ancor oggi, mantengono vive le origini africane grazie alla loro unione.
Alla base del documentario c'è una presa di coscienza forte e la consapevolezza che sia necessario un affrancamento innanzitutto interiore, che spinga a lottare per mantenere la propria essenza, inevitabilmente rompendo con catene fisiche o mentali.
Ma c’è anche l’Africa più povera, senz’acqua, senza corrente elettrica, senza un vero motivo per restare. C’è la capitale della Guinea, Conakry, immensa favela che a percorrerla rinnova continuamente il suo scenario, rendendosi destabilizzante come un mare che non cambia colore all’orizzonte, dove sin da bambini ci si adopera in qualsiasi modo pur di sopravvivere. E ci sono i cercatori d’oro nelle miniere di Siguiri, imbrattati di terra rossa, che sembrano esseri discesi da Marte, più che persone risalite dalla terra in cui scavano tutti i giorni, per tutto il giorno, con un’aria inspirata, propria di chi ricama sempre intorno al proprio segreto. E questo segreto-sogno collettivo è la cifra della gente d’Africa, sempre in bilico tra la realtà durissima e la speranza di evaderne.
D’altro canto nella polvere delle strade avanza incessante il trionfo della vita e della dignità, perché non può che plasmare il carattere tanta precarietà. E gli sguardi più che incupirsi nella direzione del Potere che li ignora, sembrano sorpassarlo, andando diritti al cielo, dando valore ai suoi segni, affidando ancora una volta alle stelle i propri sogni.
Ma che posto occupa la lotta pacifica per la propria emancipazione? Per l’abbattimento di questa condizione di schiavi, che sembra perseguitare la maggior parte di loro fino in casa propria?
E così nel documentario torna spesso a fare capolino Redemption song, l’inno al riscatto di Bob Marley, che carezzando le antiche celle della “Casa degli schiavi” a Ile de Goree, non può esimersi dall'evocazione della schiavitù, né di farsi portavoce dell'universo nero, perchè è di certo quello, ancor oggi, che più è vittima di questo sopruso. Ma non soggiace al lamento di un popolo, ne istiga la reazione e l'inventiva per riappropriarsi della propria vita.
E nell’oceanica miseria risuona ancora quella semplicità disadorna dei quilombi brasiliani, in cui c'è senz'altro l'eco delle lotte degli avi per affrancarsi dalla schiavitù. L'eco che il protagonista ascolta come fosse una musica, che vuol far ascoltare all'Africa...

TEASER - redemption song